Tirate al petto: esecuzione ed errori

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Le tirate al petto sono un esercizio che permette il miglioramento della porzione mediana posteriore del torace. Vanno infatti a coinvolgere, con le dovute differenze a seconda dell’esecuzione applicata, tutta la muscolatura presente in quella zona con particolare attenzione al deltoide. 

Le tirate al petto rientrano in quella sfera di esercizi la cui collocazione risulta incerta o quantomeno non univoca. Molto spesso infatti è facile fare confusione tra vari esercizi le cui differenze risiedono negli attrezzi utilizzati e nei gradi di lavoro a cui si effettuano. Questa importante premessa è fondamentale se si pensa alla confusione riguardo alla differenza tra tirate al petto e tirate al mento. Al di la dell’attrezzo o macchina utilizzati, la differenza risiede principalmente nella direzionalità del vettore forza applicato a questo. Nelle tirate al mento (di cui non si tratterà in questa sede) il movimento segue un percorso che va dal basso all’alto e viceversa. Nelle tirate al petto invece questo movimento avviene, come lascia facilmente intuire il nome stesso, “da lontano a vicino”. Dunque le tirate al mento, anche dovessero essere eseguite fermando il movimento al petto, non potrebbero essere definite come tirate al petto. 

Esecuzione delle tirate al petto con cavo alto

Tecnica delle tirate al petto

A livello teorico l’esecuzione più corretta di una tirata al petto prevede il posizionamento delle braccia tese di fronte al soggetto con un angolo di flessione dell’omero sul piano sagittale di 90°. Da questa posizione è necessario flettere l’avambraccio sul braccio in concomitanza con l’abduzione del braccio (omero) sul piano trasversale. L’attenzione deve essere rivolta a fare in modo che il gomito segua il vettore del movimento e che quindi rimanga in linea con quest’ultimo. Parlando dell’esecuzione con queste specifiche risulta facilmente intuibile che il fulcro del movimento deve essere posizionato all’altezza della parte alta dello sterno. 

La necessità però di dare stimoli differenti ai muscoli target di questo esercizio porta a variare il posizionamento del fulcro. Mantenendo una posizione di ortostatismo (quindi senza contemplare flessioni o estensioni del busto) questo implica il variare dell’angolo di flessione dell’omero sul piano sagittale all’inizio del movimento. Questa variazione crea necessariamente sia una difficoltà maggiore nel mantenere la posizione corretta dei gomiti durante l’esecuzione, sia la possibilità di compiere involontariamente un esercizio del tutto differente. Come anticipato in precedenza si potrebbe eseguire una tirata al mento piuttosto che una tirata al petto se l’angolo preso in considerazione dovesse avvicinarsi troppo allo 0. Questo infatti implicherebbe un movimento dal basso verso l’alto e non dal “lontano al vicino”. Qualora invece l’angolo di flessione dell’omero dovesse essere eccessivamente ampio si sfocerebbe nell’esecuzione di una trazione. Quindi, a livello puramente teorico, ragionando sugli angoli di lavoro e sulle forze vettoriali che si generano relativamente ad essi, si può concludere che per eseguire una tirata al petto l’angolo di flessione sagittale dell’omero deve essere compreso nel range 45°-135°. Determinata questa forbice risulta essenziale la posizione dei gomiti durante il movimento. Essa è determinata dal grado di abduzione sul piano frontale dello stesso omero. Qualora questo angolo risultasse troppo vicino allo 0 si andrebbe ad eseguire un pulley, qualora fosse troppo ampio la salute dell’articolazione non verrebbe salvaguardata. ;  Per compiere una tirata al petto in modo da evitare queste eventualità è bene porre l’attenzione sul fatto che le mani rimangano sempre alla stessa altezza dello sterno e puntino ad esso. 

A prescindere da tutto questo il soggetto che si appresta ad effettuare questo esercizio (ma in generale ogni movimento con sovraccarico relativo alla spalla) dovrebbe possedere un ottimo controllo del ritmo scapolo-omerale).

Il feedback più importante in quanto risultante di tutte le specifiche elencate fino a qui risulta essere che le mani, i gomiti e la parte alta dello sterno devono rimanere sulla stessa linea per tutto l’arco di movimento. 


Tirate al petto: muscoli coinvolti

I muscoli coinvolti principalmente durante l’esecuzione delle tirate al mento sono molteplici e può variare l’intensità del loro intervento a seconda dell’angolo di lavoro scelto.

A livello generale i muscoli coinvolti in modo agonista sono i deltoidi, il trapezi, i romboidi, il bicipite brachiale e il sovraspinato. 

Per ciò che concerne la stabilizzazione invece vengono maggiormente coinvolti l’elevatore della scapola, il gran dentato, il piccolo pettorale e i muscoli facenti parte della cuffia dei rotatori (sovraspinato, sottospinato, sottoscapolare e piccolo rotondo).

Se, come anticipato, l’angolo di lavoro scelto è piccolo verranno maggiormente coinvolti muscoli come il trapezio, in particolare nei suoi fasci superiori, l’elevatore della scapola e i fasci acromiali del deltoide.

Qualora invece l’angolo sia molto ampio si andrebbero a interessare in misura superiore la parte ascendente (fasci inferiori) del trapezio e i fasci spinali del deltoide. 


Tirate al petto cavo alto e cavo basso

Per tutto quello detto fino ad ora è più facile vedere eseguire questo esercizio con l’utilizzo del cavo. Questo perché viene permessa una maggior possibilità di variare l’angolo di lavoro. Nonostante questo però si è soliti utilizzare tre posizionamenti del cavo; basso, posizionato ad altezza spalle e alto. Il rischio maggiore di eseguire questo esercizio con l’ausilio del cavo è il mancato controllo dell’intra-extra rotazione dell’omero. Questa problematica si può presentare anche con l’ausilio di bilanciere o manubri ma si riscontra maggiormente nell’esecuzione al cavo.


Tirate al petto bilanciere e manubri

Una valida alternativa all’utilizzo del cavo sono il bilanciere e i manubri. Sia che si utilizzino i manubri o che si opti per il bilanciere si possono eseguire delle tirate al petto con o senza l’ausilio di una panca. Inoltre in entrambi i casi è preclusa la possibilità di concentrare maggiormente il focus sui fasci ascendenti (inferiori) del trapezio. Usando manubri o bilanciere non è infatti possibile (o comunque realmente utile) creare una resistenza del peso efficace ad angoli di flessione dell’omero sul piano sagittale maggiori di 90°. Per alcuni soggetti risulta impossibile anche raggiungere la posizione di parallelismo tra busto e suolo in sicurezza e con le curve corrette senza l’ausilio di una panca a causa, solitamente, si una retrazione della catena posteriore. Inoltre eseguendo una tirata in piedi con busto flesso si raggiunge facilmente il massimo carico utilizzabile in relazione al mantenimento di quella stessa posizione. Risulta quindi più utile utilizzare una panca. Rimane però il fatto che l’utilizzo dei manubri permette un maggior coinvolgimento dei muscoli stabilizzatori e la necessità di un maggior controllo e coordinazione inframuscolare ed intramuscolare rispetto all’utilizzo del bilanciere.  

tirate al petto
Tirata al petto con bilanciere

Tirate al petto: errori frequenti

Gli errori più frequenti riguardano i movimenti dei gomiti. La posizione di questi ultimi è dovuta al controllo dell’articolazione scapolo-omerale. Quest’ultima è l’articolazione insieme più mobile e meno stabile dell’intero organismo. Risulta quindi evidente la difficoltà relativa al controllo di questo movimento. Per questo molto spesso non viene mantenuta la linearità tra mano spalla e gomito. Questo è però sintomatico di rotazioni della spalla che mettono a rischio le strutture molli esistenti. 

L’altro errore frequente è quello di indirizzare le mani in punti differente dalla parte alta dello sterno. Si nota frequentemente l’esecuzione errata delle tirate al petto con le mani che puntano allo stomaco oppure al viso. 

Altre caratteristiche dannose e scorrette spesso visibili sono l’anteposizione di spalla o la sua intrarotazione o, peggio ancora, la presenza simultanea di questi due atteggiamenti dell’articolazione. Come già sottolineato in precedenza anche queste situazioni possono causa danni alla spalla.


Bibliografia

Paine R, Voight ML. The role of the scapula. Int J Sports Phys Ther. 2013;8(5):617-29.

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